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In morte di Platone

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IN MORTE DI PLATONE

Si dice che il corpo fosse ancora teso
nell’ultimo spasmo,
che il polso con tutte le fibre
ancora accompagnasse
con la solita pervicacia
le dita sul papiro avido
di subire e le sopracciglia
aggrottate restassero intatte,
ché la vita riverente
e pudica in quell’incauto abbandono
non si sentì di toccarle.
Perché non era ella,
dipartendosi, che poteva
donargli quella pace
cocciutamente e ciecamente rifiutata.
E qual madre umiliata
dalla saggezza dei più giovani,
ristette lì, a contemplare
quella fronte rugosa,
quella rada chioma canuta,
fino ad assorbirne parole
che ormai uscivano lievi
senza più contrazioni di tendini.
Si dice che nessuno entrò nella stanza
e così fu trovato fermo
com’era l’eterno,
con lo sguardo aperto
e sorprendentemente lieto verso di lei.
Che non voleva uscire.
Non aveva più catene alle caviglie.
La grande, l’antica
era stata generata.
Suo figlio le aveva teso l’occhio
verso il sole.



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